Intervista a Carlo Lucarelli

“Per capire l’Italia bisogna guardare il passato”
Carlo Lucarelli ci fa conoscere il giallo italiano.

Conduttore televisivo, autore di gialli, giornalista d’inchiesta, sceneggiatore, regista, scrittore per ragazzi, amatore di jazz, docente: Lucarelli si dedica con successo ad attività diverse. Ha scritto più di 20 romanzi, diversi saggi e alcune rassegne. Ha creato il commissario De Luca, il commissario Coliandro e l’ispettore Grazie Negro. I suoi gialli si svolgono durante periodi della storia italiana che non piacciono a tutti gli italiani: la nascita e lo sviluppo del fascismo negli anni Trenta, il colonialismo in Africa alle fine del ‘900 of il terrore degli anni di piombo, gli anni Settanta e Ottanta. Recentemente l’autore era ospite dell’Istituto italiano di Cultura di Bruxelles e ha perfino trovato il tempo per un’intervista esclusiva con Buonissimo.

Carlo Lucarelli, l’anno scorso ha pubblicato Intrigo italiano, l’ultima parte della serie intorno al commissario De Luca. Sono già 30 anni che scrive gialli, nota nuove tendenze in questo genere letterario?

Si, esiste in Italia una fioritura molto importante del giallo storico.  Magari gli autori prendono come pretesto un bel personaggio storico come Dante Alighieri, gli fanno risolvere un caso poliziesco. Altre volte il periodo storico viene preso perché è un periodo importante, spiega l’Italia di oggi. Ci sono parecchi scrittori giovani – e giovani vuol dire che hanno quarant’anni – che stanno raccontando gli anni settanta, che magari loro non hanno vissuto come li ho vissuti io, che io non sarei in grado di raccontare perché ero un ragazzino. Un’altra tendenza è il poliziesco classico, scrittori come Manzini e Camilleri, con personaggi che sono belli e affascinanti e ti rapiscono dall’inizio. Una terza tendenza è quella del giallo sociale, mi inserisco in quel filone. Scrittori che vogliono raccontare i problemi della nostra società attraverso una storia. Racconto gli anni Cinquanta perché sono i radici dei problemi attuali.

Come Le è nato il fascino per questi periodi sconfortevoli?

All’inizio l’ho fatto perché studiavo quel periodo all’università, era un periodo interessante. Mi interessano questi periodi storici di cui sapevo poco e quello che sapevo era molto stereotipato. Invece mi accorgo che sapendone di più capisco meglio il periodo contemporaneo. Quando ho scritto Carta bianca per esempio, volevo creare un commissario totalitario, dotato di un potere assoluto. Poi mi sono accorto che ci sono dieci poliziotti a Milano che si arrestano tra di loro. Così anche per il periodo coloniale, volevo scrivere una storia alla Salgari.

Come fa per calarsi in un periodo?

Ho imparato per esperienza che una cosa importantissima sono i settimanali e i giornali. Ho letto i settimanali relativi ai giovani. Una cosa fondamentale è quello che la gente allora credeva che fosse importante. Chi ha vissuto durante la prima guerra mondiale non sapeva che era la prima. Leggere i giornali di allora significa vedere che negli anni Cinquanta la cosa più importante fosse il matrimonio dei reali. E’ quello che si voleva che la gente credesse. Poi ci sono le pubblicità, fanno capire un sacco di cose. C’è anche un po’ di nostalgia fino a un certo punto. Chi adesso vive a Bologna dice “ah la Bologna di allora!” Allora io gli chiedo: quella degli anni Novanta dell’Uno bianca? No prima. Quella della stazione allora? A me piaceva questo periodo degli anni Cinquanta, ho trovato un sacco di giornali di quel periodo, mi affascina il periodo perché mi piacciono i vestiti, le macchine, vedere come la gente si muove.

Quando comincia a raccontare una storia, lo fa in base ad un fatto di cronaca?

Prima c’è una domanda generale sul periodo, ho scritto un romanzo ambientato durante le elezioni del ‘48 che ho scritto durante le elezioni del ’96. C’erano elezioni ideologicamente contraddistinte con uno schieramento politico violento verbalmente (Berlusconi- Prodi), allora sono andato a prendermi un periodo che raccontasse un periodo come quello. Succede una cosa adesso, io vado a cercarmi una nel passato. Un giorno ho incontrato un poliziotto anziano che mi ha raccontato un caso di cronaca, che io non conoscevo. Ho preso un pezzettino di quel meccanismo e ho detto: se il mio commissario De Luca dovesse indagare su una cosa così, cosa farebbe?

I Suoi protagonisti sono molto diversi tra di loro. Che rapporto ha personalmente con loro?

I protagonisti arrivano quando c’è una storia che loro possono raccontare. Mi viene in mente prima una cosa che voglio raccontare. Gli anni Cinquanta li racconta De Luca. Poi mi è venuto in mente una Bologna più inquieta, più contemporanea , è arrivata l’ispettore Grazie Negro . Sono diversi tra di loro.  C’è anche un’affezione diversa. De Luca mi sta comunque sempre un pochino simpatico, anche se capisco che si è messo nei guai per problemi suoi. Grazia Negro mi sta più antipatica, anche se continuo a scrivere di lei, perché ha un approccio verso il crimine poco empatico, simpatizza poco. Coliandro mi sta simpaticissimo anche se lo odio perché è un personaggio che non dovrebbe esistere. Sono tanti, tanti rapporti.

Quando scrive, lascia libero corso alla storia che vuole raccontare o stila una scaletta?

Gli scrittori si dividono in due razze. Io non faccio assolutamente la scaletta. Conosco l’inizio perché mi piace, inserisco il mio personaggio e ho in mente alcune scene perché sono belle. Tutto quello che viene fuori lo scopro pezzettino per pezzettino. Finora ha sempre funzionato. Nel romanzo di adesso sono bloccato: ho costruito un bellissimo mistero, pieno di elementi spiegabili che non posso spiegare, di colpi di scena e spero di poter andare avanti.

Di parecchi libri suoi sono tratti poi dei film? Che rapporto ha con le storie se sono in televisione?

Coliandro è diventato un altro personaggio da quando è in televisione. Altre volte sono stati comprati i diritti e il regista fa come vuole lui. Da una parte noi tutti facciamo un film nella testa quando leggiamo. Quando Zingaretti ha fatto Montalbano, i giornali erano pieni di lettere per dire: Montalbano  non è così. Ognuno lo descriveva in modo diverso. Scrivo libri che sono anche tecnici. Sono un tecnico di narrazione noir. A volte quando un regista si prende un libro si deve far aiutare da un tecnico perché lo faccia secondo il ritmo con cui si fanno queste cose.

In Blu Notte (RAI TRE) ha indagato su misteri veri, reali, come la morte di Pasolini. E’ diventato il campione della dietrologia. Può spiegare cosa significa la dietrologia in un contesto italiano?

La dietrologia ha due spiegazioni. La prima è negativa. Tutte le volte che succede una cosa non dobbiamo pensare che ci sia dietro l’interesse di qualcuno, dei servizi segreti. Però – ed è la seconda spiegazione che mi interessa molto di più – molte volte certe cose sono successe per certi motivi. La storia ci ha insegnato che certe persone hanno cavalcato. Quando uno scrive un romanzo giallo in cui ci sono rapinatori, ricattatori, un marito geloso, non c’è tanta dietrologia. Però quando hai un paese in cui hai un interesse fortissimo della politica criminale, una grande mafia, una finanza criminale molte volte eventi che potrebbero essere un evento criminale sono eventi che hanno a che fare con la nostra società. E’ una malattia che ci hanno fatto venire.

Ha l’impressione di poter raccontare tutto quello che vuole?

Nei romanzi sì. Se uno scrive che il presidente del consiglio è il capo della mafia non succede niente. Se lo fa in televisione viene querelato. Quando ho fatto il mio programma non ho potuto dire quello che pensavo. Giustamente, altrimenti direi delle fesserie. C’erano però anche delle cose fondate che non ho potuto dire. C’è anche il rovescio della medaglia. La gente dice è solo un romanzo, anche se è realistico.

Quant’è importante il rapporto con il pubblico per lei?

Prima gli autori negli anni 80 erano signori di una certa età che avevano un’altra professione. Oppure intellettuali di professione. Magari andavano a qualche convegno. Noi abbiamo tanti mezzi di comunicazione. Prima di tutto, il contatto è divertente, bello, sono contento se mi chiedono com’è nato quello, lo faccio con tanta gente. E poi ci muoviamo su svariati fronti, mi capita di aver fatto programmi televisivi e di trovarmi a convegni anti mafia e di parlare nella scuole, ci sono incontri con altri scrittori. Mi piace!

Grazie, Carlo Lucarelli, per aver risposto alle nostre domande.
Nel frattempo Lucarelli ha pubblicato, insieme a Andrea Camilleri, Acqua in bocca, un romanzo a quattro mani in cui l’ispettore Grazie Negro e il commissario Montalbano uniscono le forze per risolvere un crimine.

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Leerkracht Italiaans in CVO VOLT (Leuven) en aan de Vrije Universiteit Brussel.

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