Hieronder een interview met Laura Bispuri, een Italiaanse regisseuse. De Nederlandse versie van dit interview verschijnt in de Buonissimo-uitgave van oktober 2018.
‘Figlia mia’ è il secondo film della regista Laura Bispuri. Tre anni dopo il suo sorprendente esordio ‘Vergine giurata’ scelse Alba Rohrwacher, Valeria Golino e le giovanissima Sara Casu per raccontare la storia di una ragazza confrontata con la battaglia tra le sue due madri.
Vittoria (Sara Casu), la figlia di Tina e Umberto, ha dieci anni quando la sua vita tranquilla in un paese sardo viene stravolta da Angelica, animale da festa, ubriacona e la sua madre biologica. In questo film Bispuri ci mostra come nella ricerca della loro identità le tre donne si muovono tra l’incertezza, l’amore e il disgusto. Contro lo sfondo di una Sardegna polverosa, arida e soleggiata colpiscono le prestazioni mozzafiato delle tre attrici.
Bispuri presentò il film in prima mondiale al festival di Berlino e fu presente quando ‘Figlia mia’ chiudeva la rassegna ‘Fare cinema’ dell’Istituto italiano di Cultura (Bruxelles) la scorsa primavera. A Buonissimo offrì un’intervista esclusiva.
Nel tuo film esplori la psicologia materna, ci sono tensioni tra le due madri della bambina. Prima di tutto volevo sapere come ti è nata l’idea del film?
L’idea è nata in una circostanza abbastanza strana, cioè prima ancora del mio primo film, Vergine giurata, mi è successo che una mia amica, una ragazza di circa 20 anni, viveva in una famiglia mamma, papa, una situazione abbastanza normale e questa ragazza mi confidava che aveva il desiderio di essere adottata da un’altra madre. Questo desiderio mi ha colpito tantissimo e sentivo che lì dentro questo racconto ci poteva essere un nodo che mi incuriosiva. Quindi con la sceneggiatrice con cui lavoro da tanti anni abbiamo letto questo libro (The Mistress’s Daughter, A.M. Homes) e ci siamo entusiasmate. Poi c’è stato il mio primo film e quando dovevo trovare la storia del mio secondo fim mi è ritornata in mente questa. Mi è sembrato subito un film che potesse essere una storia universale, una storia che avesse in sé due elementi che a me di solito piacciono molto: un elemento arcaico e un elemento contemporaneo. E quindi abbiamo iniziato a indagare il tema della maternità a 360° con l’idea di voler coinvolgere lo sguardo non solo delle mamme ma anche della bambina. Volevamo immaginare un film che avesse tre punti di vista. Cosa abbastanza particolare anche tecnicamente non semplice.
Avevi già in mente le due protagoniste?
Alba si, perché avevo già fatto un film con lei. Volevo proporle un ruolo opposto. Mi divertiva molto l’idea di lavorare con lei. Valeria è arrivata un po’ dopo, perché l’idea era di avere un testa a testa, un confronto alla pari tra due madri che avessero tutte e due torti e ragioni. E quindi volevo un’attrice che tenesse testa dal punto di vista della performance attoriale ed è arrivata Valeria. E’ stato un incontro bellissimo, è un’attrice grandissima. La bambina l’ho cercata per otto mesi, era difficilissimo trovarla perché è un ruolo complicato, il finale è su di lei. E quindi mi serviva una sommiglianza fisica con Alba, c’erano tanti fattori.
C’è anche la location della Sardegna. Hai detto che ti fa pensare al western. Come mai?
Finito il film mi hanno detto che sembrava a un western, io non ho pensato di fare un western a tutti gli effetti. Questa definizione mi ha molto divertito, ho trovato delle analogie, questo testa a testa, oltre che la polvere, i cavalli.
Quali sono gli altri elementi della Sardegna che ti hanno ispirato?
Ho fatto un lavoro molto lungo, di circa due anni, che coincide con la scrittura del film. Mentre si scrive la sceneggiatura io faccio il lavoro proprio di ricerca, di approfondimento di un mondo. E’ entrare dentro un’atmosfera, un mondo, una realtà. Ho trovato una terra madre, prima di tutto, con questi messaggi molto forti che corrispondono alla maternità, a donne forti. Poi, diciamo anche la terra in sé, questi due elementi di cui parlavo prima: l’arcaico e il contemporaneo mescolati insiemi. Ha un discorso sull’identità che piano piano ho scoperto essendo lì. E’ un po’ a specchio con i personaggi del film, la Sardegna ha un’identità molto forte da una parte ma dall’altra parte è un’isola, si deve confrontare sempre con quello che viene da fuori. Questo la costringe a farsi sempre delle domande sull’identità. E’ un legame con i personaggi del film, fanno un viaggio identitario, sono vari aspetti che si sono costruiti insieme piano piano.
Come in ‘Vergine giurata’, in questo film crei l’universo femminile o lo fai vedere. Lo fai perché secondo te nel cinema attuale non è abbastanza presente o per fare qualcos’altro?
Io ho sempe fatto seguendo il mio istinto, il mio interesse. Nei miei primi corti ho iniziato questo percorso che mi ha sempre portato verso le donne. Perché mi incuriosiscono di più, mi interessano di più. Poi ho iniziato piano piano a capire che oltre a questo c’era una questione generale molto interessante: che l’immaginario femminile non esiste o esiste ma in una percentuale molto più piccola. Ho ritenuto che al di là del mio interesse personale c’è anche ‘una presa di posizione’ rispetto a questa cosa, l’idea che non ce la faccio più a vedere film in cui le donne non esistono, hanno ruoli molto banali. Si è unita al mio interesse una questione politico-sociale-cinematografica di un certo tipo.
Il personaggio maschile è in secondo piano ma comunque simpatico. Qual è il tuo rapporto con i personaggi maschili?
Molto, io lo amo molto. C’è un po’ l’idea di provare a mettere in discussione i ruoli per come sono etichettati fino a adesso. Umberto è un uomo di una profondità incredibile, di una poesia che però non ha bisogno della forza, del machismo che spesso è un etichetta che viene messa adesso agli uomini. E’ pieno d’amore, di dedizione verso queste donne. Anche in ‘Vergine giurata’, io credo che c’era questa rimessa in discussione dei ruoli, per esempio il marito era un uomo simile in qualche modo a Umberto di ‘Figlia mia’. Un uomo molto calmo, la forza è in qualcos’altro.
Le storie che racconti sono storie reali, conflitti, ma dall’altra parte hai un modo molto poetico per raccontare le cose. Come fai a stare in bilico tra questi due estremi? C’è un conflitto da una parte e dall’altra parte c’è molta poesia.
Penso che questi sono i miei due elementi, di me come persona. Mi piace molto la forza, la tensione ma anche la grazia e la poesia e la dolcezza. Viene fuori come uno è, anche al di là di quello che uno vuole far vedere. Me lo dicono spesso che nei miei film c’è tanta forza quanto grazia. Mi riconosco in questi due elementi.
Anche tu sei una madre. Quanto c’è di personale in questo film?
Mi sono sentita e mi sento spesso un po’ Angelica e un po’ Tina. Credo che ho in qualche modo tirato fuori due lati di me, forse due lati che spesso sono due modi della femminilità, della maternità. Sicuramente a me appartengono entrambi.
Mi puoi raccontare un aneddotto del set, una scena che ti piace particolarmente?
Posso raccontarti che la scena del ballo in cui Angelica canta e balla con Vittoria è una scena che non esisteva in sceneggiatura ma che è nata proprio dall’incontro tra me, Sara e Alba. Per fare un vero provino a Sara, l’ho portata nella casa di Angelica, ho preso Alba. Ci siamo messe li. Avevo questo canzone che volevo mettere nel fim ma non su questa scena. Ho chiesto a Sara di trasmettermi l’attrazione e la repulsione verso questa donna, piano piano è nata questa scena e ho deciso di metterla nel fim.
Sicuramente io, Alba e Valeria abbiamo lavorato senza formalità, mi appartiene questo modo di lavorare molto asciutto, senza tanti fronzoli.
Ci sono progetti futuri?
Ci sto pensando ma è prematuro. Prima di parlarne ho bisogno di avere un attimo di tempo in più.
Ne riparleremo la prossima volta!