Gabriele D’Annunzio

Nato a Pescara nel 1863 da famiglia della media borghesia, studia fino alla licenza liceale al collegio Cicognini di Prato: a 16 anni pubblica la raccolta di liriche “Primo vere”, cui fa seguito “Canto novo” (1882), di palese filiazione carducciana. Iscrittosi alla facoltà di lettere a Roma, egli conduce una vita brillante e movimentata, tra avventure mondane e duelli: sotto il profilo artistico, i fermenti del decadentismo europeo paiono evidenti nel suo primo romanzo, “Il piacere” (1889). Parente stretto di Des Esseintes e di Dorian Gray, l’Andrea Sperelli del libro incarna una sorta di “nuovo eroe” gelido ed amante del bello, spregioso di tutto ciò che è mediocre ed ordinario, poco incline a scrupoli morali: a differenza di Huysmans e Wilde, tuttavia, D’Annunzio ama restare in superficie, con una prosa più attenta all’artificio linguistico che non all’approfondimento delle tematiche decadenti, fuori d’ogni “cognizione del dolore”.

I successivi “Giovanni Episcopo” (1891) e “L’innocente” (1891) proseguono sulla medesima linea, pur se nel secondo – trasposto per il cinema nel 1976 da Luchino Visconti, al proprio commiato registico – s’affaccia un bisogno di rigenerazione e rinnovamento, ugualmente presente nelle liriche del “Poema paradisiaco” (1891), anticipatrici di modi e stilemi che caratterizzeranno, dipoi, la poesia crepuscolare. Aperto alle più varie suggestioni culturali, D’Annunzio s’imbeve delle teorie superomistiche sulla scorta dei lavori di Friedrich Nietzsche: se Andrea Sperelli era mosso esclusivamente da motivazioni estetiche, Claudio Cantelmo – protagonista de “Le vergini delle rocce” (1895) ed iniziatore della infinita galleria di superuomini dannunziani – teorizza il diritto al dominio delle classi superiori sulle masse (“Le plebi restano sempre schiave avendo un nativo bisogno di tendere i polsi ai vincoli”).

Coerente con l’ideologia espressa nei propri testi, nella vita pubblica il Nostro si fa eleggere deputato per la destra nel 1897 e s’imbarca nella propaganda interventista. L’attività di scrittore, intanto, prosegue con esiti alterni, divisa fra romanzi (“Il trionfo della morte”, 1894; “Il fuoco”, 1900) e drammi (“La città morta”, 1899; “La Gioconda”, 1899), concepiti nella splendida residenza della Capponcina, a Settignano, dove nel frattempo si è ritirato.

Qui nascono pure i primi tre libri (“Maya”, “Elettra” ed “Alcyone”) delle “Laudi del cielo, del mare, della terra, degli eroi”, editi nel 1903; le tragedie “Francesca da Rimini” (1902), “La fiaccola sotto il moggio” (1905) e “Fedra” (1909), oltre al romanzo “Forse che sì forse che no” (1910). Di questo periodo, meritano un cenno a parte i drammi “La figlia di Iorio” (1904) e “La nave” (1909): il primo, segna il ritorno dell’autore a quell’universo abruzzese già di scena nelle “Novelle della Pescara” (1884), ma qui distanziato nel tempo tanto che personaggi e vicende risultano collocati in un mondo arcano, sospeso tra ieratica spiritualità e lirica stupefazione; il secondo esplicita, in una sorta di barocco delirio emoglobinico inframmezzato da lampi di lussuria, le coeve brame colonialiste nostrane con versi celebrativi della “missione” del protagonista maschile, Marco Gràtico (“Arma la prora e salpa verso il Mondo… Fa’ di tutti gli Oceani il Mare Nostro”).

Riparato in Francia in volontario esilio, dopo aver perduto la propria abitazione per debiti, D’Annunzio scrive nella lingua del paese che l’ospita “Le martyre de Saint Sébastien” (1911), musicato da Debussy, ed il quarto libro delle “Laudi” (“Merope”, 1912).

Tornato in patria all’esplodere del primo conflitto mondiale, si distingue per le sue imprese belliche (celebre la “beffa di Buccari” del 10 febbraio 1918): ferito ad un occhio, verga le pagine del “Notturno”, opera sua tra le più perfette e compiute, percorsa da cupi presagi d’imminente fine e da una angosciata coscienza della morte.

Prose, confessioni e ricordi vengono pubblicati sul “Corriere della sera” sotto il titolo “Le faville del maglio”, che diverrà poi quello dell’edizione definitiva del 1924. Ideatore, terminata la guerra, della marcia da Ronchi a Fiume, si ritira infine nella definitiva residenza di Gardone, da lui denominata il “Vittoriale degli Italiani”; ivi si spegne nel 1938, dopo un lungo periodo d’isolamento, in seguito ad una emorragia cerebrale.

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Bart Tordeurs is auteur, fotograaf, gids en reisleider Italië met een jarenlange passie voor Rome. Oprichter van https://romewandelingen.be: op stap in de eeuwige stad, 50 gratis wandelingen in en om Rome.

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