Antonio Canova è uno dei più grandi artisti neoclassici al mondo, anzi forse potrebbe essere definito il più grande al mondo. Le fonti d’altronde non potrebbero darci torto. Già dai suoi contemporanei era considerato un artista eccezionale, richiesto dai principi delle corti di tutta Europa. Viaggiò molto, sia in Italia che in Europa, creando sculture di bellezza straordinaria e facendo rivivere secoli dopo l’arte classica degli antichi greci.
Canova nacque nel 1757 nel piccolo centro di Possagno, paesino in provincia di Treviso, poco lontano dal Monte Grappa. Il padre Pietro morì ad appena ventisei anni e la madre Angela Zardo si risposò poco dopo. A soli quattro anni, il piccolo Canova venne così cresciuto dal nonno Pasino, scalpellino che insegnò al nipote la straordinaria arte di lavorare la pietra. Dimostrò da subito una grande inclinazione per la scultura, tanto che si racconta che durante una cena di nobili veneziani, in una villa di Asolo, abbia realizzato un leone di burro che lasciò senza parole tutti i [simple_tooltip content=’chi siede con altri alla stessa mensa o tavolo, ovvero invitati alla cena’] commensali[/simple_tooltip] per la sua bellezza.
Fu a Venezia che il giovanissimo Canova iniziò l’attività di scultore, grazie al nonno Pasino e al senatore Falier che avevano intuito le sue grandi doti. Dal 1768 lo fecero accogliere nello studio di Giuseppe Bernardi detto Torretti, dove il giovane si avvicinò a quell’arte neoclassica che caratterizzerà tutta la sua produzione. Le sue opere cercavano infatti di ricreare l’ideale di bellezza, equilibrio e armonia che era protagonista nelle antiche statue greche e che, ad esempio, si ritrova intatto ancora oggi nelle sculture del Partenone di Atene.
Grazie al successo ottenuto con le prime opere veneziane, due Canestri di frutta scolpiti per il Farsetti (studioso e collezionista veneziano) e un Orfeo e un’ Euridice, realizzate su incarico del protettore Falier, Canova riuscì nel 1777, ad aprire uno studio autonomo. Si dedicò in quegli anni alla realizzazione del gruppo scultoreo Dedalo e Icaro, commissionatogli dal procuratore di San Marco, Pietro Vettor Pisani. In quest’opera utilizzò per la prima volta il procedimento del repère, divenuto poi tratto distintivo del suo metodo di lavoro. Questo laborioso processo iniziava con la creazione di piccoli modelli in creta e gesso. Si procedeva in seguito alla realizzazione di una scultura a grandezza naturale di gesso, che fungeva da ulteriore modello. Infine, l’ultima fase del lavoro consisteva nel posizionamento sulla superficie dei modelli in gesso, una moltitudine di [simple_tooltip content=’piccoli chiodi; è un piccolo ferro allungato con una parte a punta e l’altra liscia e tonda, usato per collegare fra loro oggetti o appenderli alle pareti.’] chiodini[/simple_tooltip] di bronzo, da utilizzare come punti di riferimento per trasferire le dimensioni esatte della figura dal modello in gesso alla vera e propria statua di marmo.
La scultura suscitò grande entusiasmo e gli permise di guadagnare la somma di denaro sufficiente per partire per l’atteso viaggio a Roma, tappa fondamentale per ogni artista dell’epoca che volesse entrare in contatto diretto con le originali statue classiche. Nella capitale, dove si stabilì definitivamente dal 1781, Canova portò a termine la lezione [simple_tooltip content=’dare, in questo caso dare un insegnamento’] impartitagli[/simple_tooltip] dal più grande dei suoi maestri: l’antico. Egli infatti trascorse le sue giornate a visitare le principali raccolte d’arte e monumenti della città, descrivendo e riproducendo opere come il Laocoonte o l’Apollo del Belvedere.
La permanenza nella storica città e le commissioni che gli vennero affidate in questi anni, procurarono a Canova una fama che in pochi anni risveglierà anche le attenzioni delle maggiori corti europee. Gli anni romani gli diedero inoltre la possibilità di approfondire la sua idea di arte classica e di arricchirne la conoscenza attraverso dialoghi e ragionamenti con [simple_tooltip content=’persona che si intende, ovvero che sa, che ha una particolare conoscenza, in questo caso in campo artistico’] intenditori[/simple_tooltip] italiani e stranieri.
È in opere come il Teseo vincente sul Minotauro, commissionatagli nel 1781, che il genio canoviano tradusse in pietra le sue più grandi capacità e idee.
Fu però con il Monumento funerario di papa Clemente XIV, che Canova si fece conoscere al largo pubblico. È il 1783 e il nome del grande artista è ormai conosciuto a Parigi, a Vienna, in Russia.
Ricevette in questi anni le più svariate commissioni, che giunsero dai principi di tutta Europa. Dall’Amore e Psiche giacenti (1787), commissione del colonnello inglese John Campbell, al Monumento funerario a Maria Cristina d’Austria (1798), alla Danzatrice con le mani sui fianchi (1802), per l’imperatrice francese Giuseppina Beauharnais.
Proprio con la Francia di Napoleone Canova intrattenne frequenti rapporti. Dalla famiglia imperiale egli ricevette infatti numerose richieste, che più volte lo portarono a Parigi per la realizzazione di opere, quali Napoleone Bonaparte come Marte Pacificatore (1806) e Paolina Borghese Bonaparte come Venere Vincitrice (1808).
Quest’ultima, conservata alla Galleria Borghese di Roma, [simple_tooltip content=’produrre stupore, di solito riferito ad avvenimenti che sollevano grande interesse e curiosità, pettegolezzi e critiche nell’opinione pubblica o in un determinato ambient’] suscito’[/simple_tooltip] all’epoca grande scalpore per la sua posa [simple_tooltip content=’in questo caso posa molto libera, senza veli a coprire le nudità, senza vergogna; di solito riferito alle persone’] disinibita [/simple_tooltip]. È forse una delle opere più riuscite dell’artista. Il corpo delicato della dea sprofonda così realisticamente nel materasso del [simple_tooltip content=’sono chiamati così i divani allungati tipici delle sale da pranzo romane, in cui gli antichi si sdraiavano per mangiare durante i banchetti’] triclinio [/simple_tooltip] da sembrare vivo; e proprio per aumentare lo stupore dello spettatore la scultura era dotata di un meccanismo che permetteva al letto di ruotare, lasciandosi ammirare in ogni sua parte.
Ma Canova, oltre che dei principi fu anche lo scultore dei papi. In modo particolare ebbe uno stretto legame con Pio VII, eletto nel 1800 e di cui realizzò un ritratto in marmo nel 1803. Nel 1802 il nuovo papa lo elesse a Ispettore Generale delle Antichità e Belle Arti di Roma e dello Stato pontificio. La [simple_tooltip content=’sdifesa, custodia o tutela di qualcosa, usato soprattutto in riferimento alle opere d’arte’] salvaguardia [/simple_tooltip] del patrimonio italiano, infatti, fu impegno caro all’artista, conoscitore dell’arte e amante della bellezza, tanto che nel 1815 riuscì a riportare in Italia la maggior parte delle opere che con l’arrivo di Napoleone e il trattato di Tolentino erano state trasferite in Francia.
Nonostante i frequenti viaggi all’estero e lo svolgersi quotidiano della vita a Roma, numerosi soggiorni legarono [simple_tooltip content=’continuamente, che non finisce mai’] incessantemente [/simple_tooltip] l’artista anche al Veneto e alla Repubblica veneziana per conto della quale ricevette [simple_tooltip content=’molti, numerosi’] svariati [/simple_tooltip] incarichi celebrativi, tra cui spiccano il Monumento a Tiziano (1790) e la Stele Emo (1792).
La sua città natale, Possagno in particolare fu per Canova luogo del ritorno e della meditazione, dove dedicarsi soprattutto alla pittura. Non a caso scelse proprio la sua città, come sede dell’unica opera architettonica. Nel 1819 assistette alla posa della prima pietra del maestoso Tempio che domina le colline pedemontane, progettato e realizzato totalmente a sue spese. L’immensa cupola che lo sovrasta, rimando a quella altrettanto maestosa del Pantheon romano, è diventata simbolo di Possagno e delle sue colline.
Proprio qui, per volere del fratellastro Giambattista Sartori Canova, vennero deposte [simple_tooltip content=’salma, corpo morto di un defunto’] le spoglie [/simple_tooltip] dell’artista, dopo la morte avvenuta a Venezia il 13 ottobre 1822, a casa dell’amico Florian.
Sempre a Possagno, lo stesso Giambattista volle trasferire tutti i modelli di gesso rimasti a Roma nello studio del fratello. Fece costruire così, nel 1834 la grande Gipsoteca, nel giardino della casa natale del Canova. È ancora oggi, arricchita dalle sale del grande architetto Carlo Scarpa, un luogo magico dove si resta senza fiato di fronte alla candida bellezza delle opere del grande maestro. Statue di Dee, Imperatori e Papi, perfette nei loro lineamenti sopravvivono a distanza di secoli, nonostante [simple_tooltip content=’enorme, di grandezza esagerata’] l’immane [/simple_tooltip] catastrofe avvenuta durante la Prima Guerra Mondiale. Una notte di dicembre del 1917, una [simple_tooltip content=’bomba a mano che veniva lanciata contro il nemico durante una guerra’] granata [/simple_tooltip] esplose infatti nel tetto della Gipsoteca, distruggendo in pochi istanti capolavori immensi della storia dell’arte. Oggi, grazie all’impegno costante e al paziente restauro di due custodi, Stefano e Siro Serafin, padre e figlio, possiamo nuovamente meravigliarci di fronte alla grandezza di questo immenso artista veneto.
Le sue opere, sparse oggi per i musei di tutto il mondo, restituivano allo spettatore antico, come fanno con quelli odierni, un altissimo senso di stupore. Meraviglia che proviene dalle pose fiere e [simple_tooltip content=’maestosi, di dimensioni e forza molto grandi’] possenti [/simple_tooltip] di opere come l’Ercole e Lica o il Napoleone Bonaparte come Marte Pacificatore e dalla delicatezza di altre, come quella del dolce bacio fra i due amanti in Amore e Psiche.
Possiamo allora cogliere perfettamente il senso della frase del grande scrittore francese Stendhal: “Fin che Canova esisterà, potremmo comprare l’immortalità”. Ed è proprio così: la sua arte, così armoniosa e nobile, ha saputo tenere in vita fino a oggi e chissà per quanto tempo ancora, personaggi mitologici e personaggi vissuti più di due secoli fa. Ha saputo tramutare in pietra la loro immortalità.
Anna VISENTIN
GLOSSARIO
1. commensali: chi siede con altri alla stessa mensa o tavolo, ovvero invitati alla cena
2. chiodini: piccoli chiodi; è un piccolo ferro allungato con una parte a punta e l’altra liscia e tonda, usato per collegare fra loro oggetti o appenderli alle pareti.
3. impartitagli: dare, in questo caso dare un insegnamento
4. intenditori: persona che si intende, ovvero che sa, che ha una particolare conoscenza, in questo caso in campo artistico.
5. suscitò scalpore: produrre stupore, di solito riferito ad avvenimenti che sollevano grande interesse e curiosità, pettegolezzi e critiche nell’opinione pubblica o in un determinato ambiente.
6. disinibita: in questo caso posa molto libera, senza veli a coprire le nudità, senza vergogna; di solito riferito alle persone.
7. triclinio: sono chiamati così i divani allungati tipici delle sale da pranzo romane, in cui gli antichi si sdraiavano per mangiare durante i banchetti.
8. salvaguardia: difesa, custodia o tutela di qualcosa, usato soprattutto in riferimento alle opere d’arte.
9. incessantemente: continuamente, che non finisce mai
10. svariati: molti, numerosi
11. incarichi: compiti, commissioni
12. spoglie: salma, corpo morto di un defunto
13. immane: enorme, di grandezza esagerata
14. granata: bomba a mano che veniva lanciata contro il nemico durante una guerra
15. possenti: maestosi, di dimensioni e forza molto grandi